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Cosa è la plasticità neurale e perché è così importante saperla sfruttare

La neuroplasticità o plasticità neurale

Con il termine neuroplasticità si fa riferimento ad una caratteristica intrinseca che il nostro cervello possiede e che consiste nella capacità di rispondere agli stimoli che provengono tanto dall’ambiente esterno quanto dalle nostre esperienze interne, modificandosi in termini neurostrutturali e neurochimici.

Questa caratteristica veniva un tempo associata in modo quasi esclusivo all’infanzia, con la convinzione che essa fosse l’unica fase di vita in cui il cervello era in grado di andare incontro a tali trasformazioni. Solo recentemente, grazie all’evolversi delle metodologie di ricerca ed all’espandersi degli studi nel campo delle neuroscienze, è stato osservato che il fenomeno di plasticità neurale può verificarsi durante l’intero arco di vita.

Il fenomeno di pruning

Il primo adattamento neuroplastico si verifica nei primi anni di vita. Tra i 2 ed i 3 anni ci troviamo nella fase in cui il nostro cervello raggiunge il picco massimo di sinapsi. Successivamente, grazie alle esperienze ed alle caratteristiche genetiche individuali, ha inizio il cosiddetto fenomeno di “pruning” (in italiano potatura), che consiste in una vera e propria potatura delle sinapsi in eccesso. Tale fenomeno non avviene in maniera casuale ma segue una logica precisa: più una sinapsi viene stimolata, più sarà rafforzata. Minore sarà la stimolazione, maggiore la possibilità di essere soggetta ad eliminazione. In questo modo, intorno ai 16 anni, raggiungiamo una stabilizzazione del numero di sinapsi presenti nel nostro cervello e, conseguentemente, una stabilizzazione del numero e del tipo di connessioni tra aree cerebrali.

La densità sinaptica che abbiamo rispettivamente alla nascita, a 7 ed a 15 anni di età

Esperienze dell’infanzia fondamentali

Tutto questo complesso meccanismo ci aiuta a comprendere quanto le esperienze che caratterizzano i nostri primi anni di vita siano FONDAMENTALI nel nostro sviluppo, non solo in termini di personalità e carattere ma anche in termini neurostrutturali. Ogni fase della nostra infanzia è caratterizzata da finestre critiche in cui il cervello è pronto a fare esperienze e stabilizzare le funzioni richieste da quel determinato momento.

Un esempio tipico che può aiutarci a comprendere il tipo di meccanismo che si verifica è quello dell’esperimento condotto negli anni ’60 da Hubel e Wiesel. Questi due scienziati indussero una deprivazione sensoriale monoculare nei cuccioli di gatto in fasi diverse della loro “infanzia”: alcuni da appena nati, altri dopo che avevano sviluppato le cellule nervose che ricevono informazioni dall’occhio. In base alla fase in cui erano stati deprivati della vista, i gattini avevano sviluppato in modo diverso le vie visive, mostrando una diminuzione del 40% nello sviluppo delle strutture corticali e sottocorticali nei casi di deprivazione dalla nascita ed uno sviluppo leggermente meno atrofizzato nell’altro caso. Se invece lo stesso esperimento veniva condotto in un gatti adulti, una volta che la deprivazione terminava i gatti non avevano subito nessun tipo di modifica a livello cerebrale e riuscivano quindi a vedere in modo normale.

Perché è così importante stimolare i bambini usando emozioni positive

Questo semplice esperimento dimostra quanto sia importante che la stimolazione cerebrale avvenga nel corretto periodo di tempo e soprattutto con la corretta intensità e costanza. Un bambino ha l’enorme potere e capacità di rispondere in modo rapido ed immediato a ciò che gli viene insegnato proprio perché è soggetto a questo meccanismo di potatura sinaptica che sta modellando il suo cervello.

Un altro punto fondamentale è inoltre rappresentato dalle emozioni. Le emozioni accompagnano qualsiasi momento della nostra vita e qualsiasi esperienza facciamo. Quando impariamo qualcosa di nuovo e quindi modifichiamo il nostro cervello, la modifica che mettiamo in atto verrà automaticamente associata ad un ricordo emozionale. Quando richiameremo all’attenzione quell’attività appresa o quel ricordo, automaticamente il nostro cervello lo assocerà all’emozione che abbiamo vissuto quando la o lo abbiamo sperimentato per la prima volta.

Se quando insegniamo ad un/a bambino/a a mettere in ordine la propria stanza lo facciamo sgridandolo, alzando la voce, utilizzando punizioni nel caso in cui ciò non venga fatto secondo le nostre aspettative, stiamo creando nel suo cervello un ricordo negativo associato a quel compito. Questo si potrà poi tradurre in due possibili epiloghi: 1) da grande odierà riordinare la propria stanza e quindi non lo farà, 2) riordinerà la propria stanza spinto dalla sensazione di dovere ma accompagnata dal senso di colpa. Riordinare la stanza insieme a lui/lei dandogli/le la possibilità di decidere da sé come ed in che modo posizionare i propri giochi, collaborando, scherzando o anche cantando, creerà in lui il ricordo di un’attività piacevole e di un senso del dovere nel semplice rispetto di sé stesso e dei propri spazi.

La neuroplasticità non finisce a 16 anni

Contrariamente a quanto si credeva fino a pochi anni fa, ad oggi i neuroscienziati sono riusciti a dimostrare che il meccanismo per cui il nostro cervello sarebbe in grado di modificarsi in risposta agli stimoli ambientali non termina con l’inizio dell’età adulta ma è anzi in grado di verificarsi per l’intero arco della nostra vita. Cambia solo la rapidità e la quantità di stimolazione necessaria affinchè si modifichi.

Va quindi da sé che le famose frasi “sono fatto così” oppure “questa cosa non la capirò mai” sono false ed improbabili e che l’unica cosa di cui abbiamo bisogno è di credere in noi stessi e perseverare nel raggiungimento dei nostri obiettivi personali, piccoli o grandi che siano.

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L’importanza dell’intelligenza emotiva

Emozioni: a cosa servono e dove si trovano

Spesso confuse con i sentimenti, le emozioni sono quegli stati interni che viviamo e che si esprimono attraverso 4 livelli:

  • attivazione fisiologica
  • modificazioni cognitive
  • comportamento
  • espressioni facciali

Esse sono universalmente riconosciute e caratteristiche dell’essere umano.

Le emozioni hanno una funzione altamente adattiva per l’uomo e gli permettono di interagire con l’ambiente in maniera funzionale. Ogni emozione ha la sua ragion d’esistere e ci aiuta a far fronte a diverse situazioni che la vita ci pone davanti. La loro sede si trova in quello che è il sistema limbico, una struttura molto primitiva e ben nascosta proprio per la sua grande importanza oltre che per la forte necessità di proteggerla dalle minacce del mondo esterno.

Secondo la teoria del cervello trino di Paul Maclean, questa struttura si è andata formando a partire dal “cervello rettiliano”, che rappresenterebbe il sistema più antico del nostro cervello, situato e sviluppato a partire dal tronco encefalico. Questa struttura non è in grado né di pensare né di ragionare ma di fornire le risposte necessarie alla sopravvivenza grazie all’istinto.

Cervello trino di Paul Maclean

Dal successivo sviluppo del sistema limbico, e quindi delle emozioni, abbiamo ereditato due super poteri che ci hanno poi permesso di sviluppare tutte le nostre funzioni di esseri viventi “”superiori””: la memoria e l’apprendimento. Con l’Homo Sapiens si è gradualmente andata a configurare la neocorteccia, struttura più “recente” e “raffinata” del cervello rettiliano, formata da numerosissime connessioni che costituiscono i livelli cerebrali superiori. Ad oggi questa teoria è stata più volte controbattuta a fronte di un collegamento in nesso circolare tra cervello emotivo e razionale che si influenzano reciprocamente seguendo modelli di interazione non lineare.

Ad ogni modo, una volta sviluppata questa struttura, l’uomo ha potuto poi migliorare tutte le sue capacità di elaborazione fine, di pensiero e di ragionamento (metacognizione), che gli hanno consentito di sopravvivere alle numerose avversità che si sono presentate nel tempo, fino ad arrivare ai giorni nostri. Grazie alla neocorteccia siamo in grado di sperimentare una numerosa gamma di espressioni emozionali che rendono la nostra vita così ricca di varietà e di capacità di risposta.

L’evoluzione sociale

Con l’evoluzione ad animale sociale, seguita da una sempre più fine specializzazione della neocorteccia, l’essere umano ha acquisito un gran numero di abilità, che comprendono anche quelle più genericamente definite “interpersonali” e morali. Lo sviluppo della moralità, del senso civico e quindi della capacità di relazionarsi con gli altri ci hanno inizialmente permesso di vivere in grandi tribù per poi, nei secoli, diventare aggregazioni sempre più numerose fino ad arrivare alla società dei giorni nostri. Intuitivamente e razionalmente parlando, tutto questo percorso che il nostro cervello ha fatto per portarci ad essere ciò che oggi siamo sembra essere a tutti gli effetti una grandissima evoluzione in positivo che ci ha permesso di raggiungere la tanto bramata supremazia di cui crediamo di godere.

E il sistema limbico?

Cosa ne è stato però del nostro sistema limbico durante tutto questo sviluppo? È rimasto li a svolgere sempre le stesse funzioni con lo stesso potenziale ed intensità?

Il ruolo del sistema limbico è continuato ad essere quello di sempre, ovvero un regolatore emozionale, un sistema pronto a fornire la risposta adatta a livello istintivo. Il “problema” che si è però configurato è stato quello dell’evolversi di un ipercontrollo della neocorteccia su questa struttura arcaica e pulsionale. Lo sviluppo fine delle abilità sociali ci ha reso sempre più razionali e sempre meno istintivi. Ciò nonostante, in determinate occasioni, ci sembra di perdere il controllo di questo pilota automatico, come se agissimo in maniera slegata e “irrazionale”. Proprio in quei momenti succede che il nostro sistema limbico si fa avanti, prende in mano le redini della situazione ed agisce per istinto. Solitamente questa condizione si verifica soprattutto nelle circostanze che coinvolgono la rabbia e la paura, dovuto al fatto che l’amigdala (cerchiata in rosso), nucleo interno al sistema limbico, resta tutt’oggi una struttura altamente responsiva a queste tipologie di stimoli.

Amigdala

Una sorta di involuzione

Per quanto tutto ciò suoni perfettamente in linea con un’ottica darwiniana, visto da una determinata prospettiva si potrebbe addirittura parlare di un’involuzione. Questo perché, raffinando sempre di più l’uso della neocorteccia, abbiamo “sotterrato” un sistema molto più arcaico ed intuitivo. Nell’immagine sottostante questo sistema, formato da più nuclei, viene indicato in blu, verde, viola e rosa, e risulta ben evidente la sua posizione in strutture ben protette ed interne.

Sistema limbico e neocorteccia

Le frecce in rosso rappresentano invece lo scambio di azioni (di attivazione ed inibizione) che avvengono tra la neocorteccia ed il sistema limbico. Questo complesso sistema di azioni si autoregola e ci permette di interfacciarci in maniera adattiva con l’ambiente circostante, tenendo sotto controllo le risposte emozionali in modo da fornire sempre la risposta più funzionale possibile. A volte però, la risposta più funzionale e controllata non rispecchia a pieno quella che è la nostra reale volontà. A volte ciò che sentiamo e proviamo nei confronti di un evento, una persona, una situazione non corrisponde alla risposta che diamo. In questi casi si verifica un’incongruenza, agiamo cioè seguendo quella che è la risposta “ideale”, “attesa”, “socialmente accettata”.

Perché questo è un problema?

Sarebbe troppo complicato stare ad elencare l’infinita gamma di conseguenze che può comportare il fatto di prendere decisioni che non rispettano la nostra reale volontà, poiché probabilmente andrebbe riportata una lunga lista di trattati tra cui: uno di psicopatologia, uno di psicosomatica, uno di malattie cardiovascolari e via discorrendo.

Mi limiterò quindi ad accennare che se la parte più profonda, istintiva e pulsionale che possediamo desidera ardentemente qualcosa e noi glielo proibiamo, possiamo solo immaginare quale sarà la sua reazione.

L’attivazione dal punto di vista neurochimico e neurofisiologico che il nostro sistema limbico avrà non andrà scomparendo nel nulla se la neocorteccia gli impone la sua volontà. Si andrà invece ad attivare un complesso sistema di frustrazione e desiderio di rivolta che il nostro corpo in qualche modo tenderà ad esperire. Ognuno di noi, proprio per il fatto che esiste un’enorme differenza interindividuale, reagirà a queste proibizioni in maniera distinta e metterà in atto comportamenti disfunzionali con la tendenza a raggiungere ciò che le nostre emozioni desideravano.

Quindi come mi comporto?

Questo non va tradotto con “agisco sempre facendo ciò che mi dice il cuore” ignorando quelle che sono le norme sociali o “agisco nel rispetto delle le mie emozioni” a discapito del rispetto per gli altri. Significa piuttosto imparare a dare più importanza, valore ed ascolto a ciò che sentiamo e proviamo.

Senza dubbio si tratta di un compito molto difficile da intraprendere da soli, anche (e non solo) per il fatto che fin da quando siamo bambini ci vengono imposte delle regole e dei comportamenti da rispettare perché “è giusto così”. Ma se un bambino si sente triste perché il suo gioco si è rotto, egli ha tutto il diritto e la libertà di sentirsi triste, piangere e disperarsi. Se un bambino è arrabbiato perché gli è stato imposto di fare qualcosa che non desiderava fare, è giusto che sia arrabbiato e compreso nella sua rabbia.

È importante quindi cancellare dal senso comune il concetto di “cattivo bambino perché capriccioso/impulsivo/disobbediente”. I “capricci” di un bambino rappresentano le sue emozioni più profonde proprio perché la sua neocorteccia ancora non si è sviluppata del tutto. I bambini sono in grado, in maniera naturale, di esprimere le loro emozioni in maniera genuina e sincera. È importante accogliere questa loro abilità e supportarla per crescere dei futuri adulti più consapevoli ed emozionali.

Pinki usa il gioco simbolico

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Carolina Pozzi per le illustrazioni (@pinkiilconi)

Oggi Pinki il coni si affaccia alla finestra e vede la pioggia scrosciare forte, così, all’improvviso, ha un’intuizione! Recupera una cesta e degli oggetti di varia natura, tentando di ricreare un’arca di Noè per portare tutti in salvo dalla pioggia torrenziale. Quello che Pinki sta facendo è immaginare e fingere che ognuno degli oggetti che trova rappresenti un animale diverso da far salire sull’arca di Noè, e per farlo va ad utilizzare una capacità che il bambino è in grado di acquisire durante quello che viene definito stadio preoperatorio.

Per arrivare a comprendere il mondo che lo circonda, è necessario che il bambino apprenda ed integri una serie di cambiamenti nel funzionamento cognitivo. Tali cambiamenti riguardano più aspetti dell’attività psichica e seguono un lento processo evolutivo che attraversa i vari stadi della crescita.

La concezione stadiale

Il grande Piaget, studioso esperto di età dello sviluppo, ha elaborato quella che viene definita “concezione stadiale”, la quale prevede un processo di acquisizione di capacità cognitive che vanno man mano ad integrarsi a quelle già acquisite nello stadio precedente.

Tale elaborazione si vede composta da 4 stadi principali:

  • Stadio sensomotorio (dalla nascita ai 2 anni)
  • Stadio preoperatorio (dai 2 ai 6 anni)
  • Stadio operatorio concreto (dai 6 ai 12 anni)
  • Stadio operatorio formale (dai 12 anni in su)

Lo stadio preoperatorio

Oggi, osservando l’avventura di Pinki il coni, andremo a focalizzarci sullo stadio preoperatorio che riguarda la fascia di età 2-6 anni. Questo stadio inizia con la conquista della rappresentazione. Ciò significa che il bambino diviene in grado di utilizzare immagini, parole, simboli ed azioni che rappresentano altre cose. Tra le manifestazioni rappresentative principali troviamo il gioco simbolico.

Il gioco simbolico

Il gioco simbolico consente al bambino di giocare con un oggetto fingendo che esso rappresenti altro. Affinchè il bambino si possa dire pienamente in grado di fingere, è necessario che applichi i suoi schemi di azione ad oggetti definibili “inadeguati”.

Ad esempio, come possiamo vedere nelle immagini sopra illustrate, Pinki trasforma delle banane in delle giraffe, delle castagne in dei ricci, delle foglie in degli uccellini, dei calzini in delle pecore e dei mandarini in volpi.

Questa attribuzione di significato simbolico ad oggetti che nella realtà rappresentano altro dimostra la piena acquisizione di questo aspetto dell’attività rappresentativa.

Oltre a questa capacità, per aver pienamente raggiunto e completato lo stadio preoperatorio, è necessario che il bambino apprenda l’imitazione differita e che, nell’utilizzo del linguaggio, mostri di saper utilizzare schemi verbali che facciano riferimento ad una realtà che si rappresenta mentalmente. Per imitazione differita ci si riferisce alla capacità di saper riprodurre più in là nel tempo un modello acquisito. Questo significherà che il bambino avrà conservato una rappresentazione interna del modello e che quindi si sia prodotta un’immagine mentale che rappresenta una copia interna della realtà.

Attività coniugate con il metodo Montessori

È possibile coniugare il gioco simbolico con le metodologie Montessoriane utilizzando alcune attività che consentano anche l’acquisizione di autonomia. Per farlo è opportuno che l’intervento dell’adulto sia ridotto al minimo indispensabile. Attività di questo genere da riprodurre possono essere: fingere di andare al supermercato ricreando cassa, prodotti in vendita, scaffali, oppure la lavanderia, oppure ancora le pulizie di casa.

Pinki sbaglia

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Carolina Pozzi per le illustrazioni (@pinkiilconi)

Oggi Pinki il coni, nelle sue esperienze di apprendimento, si trova alle prese con ciò che viene comunemente definito “errore”.

Definizione di errore

Ma cosa è l’errore? Il vocabolario della lingua italiana lo definisce come “Lo sviarsi, l’uscire dalla via retta, spec. in senso fig., l’atto e l’effetto di allontanarsi, col pensiero o con l’azione o altrimenti, dal bene, dal vero, dal conveniente” (Treccani).Leggendo attentamente questa definizione, possiamo osservare e prender consapevolezza del fatto di avere una concezione di errore che si allontana un bel po’ da quello che è il costrutto originario e corretto del termine.

Nascita del concetto di errore

In che momento, nella nostra testa, si definisce il concetto di errore?

Da bambini, ogni volta che “sbagliavamo” qualcosa (inserisco il termine tra virgolette data la forte valenza soggettiva che esso assume ogni qual volta definiamo qualcosa come errato), venivamo rimproverati per non aver rispettato un cosiddetto standard, che poteva essere di tipo morale, pratico, concettuale o dialogico. Da bambini, nessuno ci ha mai spiegato che per errore si intendeva “l’allontanarsi, col pensiero o con l’azione, dal bene, dal vero, dal conveniente” (cit).

L’errore, nella vita di ciascun essere umano ed in quasi tutte le epoche evolutive, assume una concezione perlopiù negativa. Quasi sempre si tratta di un’azione o di un’affermazione che suscita pentimento e che risulta sconveniente.

L’errore come aspetto neurofunzionale costitutivo

Il nostro cervello però, sia da un punto di vista neurofisiologico che neurofunzionale, procede per tentativi ed errori, e possiede quindi l’errore come competenza costitutiva ed intrinseca.Il famoso detto tale per cui “sbagliando si impara” rappresenta un concetto di fondamentale importanza, spesso sottovalutato o sminuito, lasciandoci cadere in quelle che sono delle banali e superficiali considerazioni dell’elaborato altrui basate su schemi e preconcetti personali. Un bambino che fa un errore sta apportando un’informazione imprescindibile ed essenziale al suo cervello in crescita, che arricchirà il suo database interno e promuoverà il fenomeno di pruning (già citato in un articolo sul blog, clicca qui per leggere).

Pinki il coni commette un errore

Come possiamo osservare nell’immagine in cui Pinki rovescia l’intero contenitore di inchiostro sul suo album da disegno, le emozioni preponderanti e primarie sono quelle dello sconforto, dell’incredulità, del pentimento. Quando si verifica un evento inaspettato ed indesiderato, l’emozione di riferimento assume sempre, a primo impatto, una valenza negativa. Solo successivamente, osservando meglio cosa ha “provocato” questo errore, Pinki il coni si accorge di aver realizzato un bellissimo disegno e che il fatto di essersi sbagliato ha dato vita a creatività e bellezza.

L’errore assume la valenza che noi gli assegniamo

Il mondo appare ai nostri occhi in base alle lenti con cui lo guardiamo, la realtà è tale solo in base a ciò che noi decidiamo di selezionare come rilevante od importante in funzione dei nostri standard e desideri. Ogni errore può acquisire una doppia valenza, sulla base di come noi ci affacciamo o ci rivolgiamo ad esso. Redarguire l’errore di un bambino può essere fatto utilizzando differenti modalità e l’approccio ma soprattutto l’emozione con cui noi facciamo fronte ad esso svolge il ruolo centrale nel processo.

Primo giorno di scuola

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Carolina Pozzi per le illustrazioni (@pinkiilconi)

Nel suo secondo episodio per la rubrica “Pinki impara”, Pinki il coni è alle prese con un’esperienza che ognuno di noi ha vissuto nell’arco della sua vita: il primo giorno di scuola.

Il primo giorno di scuola rappresenta ed ha rappresentato per tutti noi un momento carico di emotività: di aspettative, ansie, paure, attesa, felicità e moltissimo altro.

Questo 2020, segnato dalla presenza di una pandemia mondiale, è stato per tutti un anno particolare e caratterizzato da esperienze personali molto intense. Questa intensità, in alcuni casi, può aver esacerbato o accentuato alcune delle nostre paure ed ansie.

Un intreccio di fattori

L’esperienza che il bambino o la bambina può fare durante il primo giorno di scuola dipenderà da molteplici fattori che si intersecheranno fra loro: gli aspetti di attaccamento alla figura di accudimento, le paure correlate all’esperienza di solitudine o abbandono che l’ambiente scolastico può rappresentare per lui/lei, le capacità relazionali interpersonali con i suoi coetanei o le ansie legate alla relazione con l’insegnante, ma anche ad una serie di vissuti emozionali positivi come l’emozione del conoscere/rivedere i propri compagni, l’opportunità di cominciare una nuova avventura o di partire con dei propositi per il nuovo anno scolastico.

È molto importante che, nel ruolo di genitore, vi sia totale disponibilità all’ascolto ed apertura al dialogo, in modo da permettere al bambino o alla bambina di esprimere tutti i suoi dubbi, le sue incertezze, le sue paure o le sue gioie. Le aspettative che accompagnano i giorni che precedono questo momento possono dar luogo a pensieri anche distorti o ad ansie apparentemente immotivate che ci possono aiutare a carpire il tentativo di espressione di credenze interne profonde.

Un momento magico

Nel sostenere ed accompagnare il bambino o la bambina al primo giorno di scuola ci sono una serie di accortezze che si possono prendere in considerazione per far sì che l’esperienza rappresenti un vero e proprio momento magico. Dall’acquisto dei prodotti di cancelleria o del nuovo zainetto fino alla scelta dei vestiti da indossare, tutto assume valore. Ascolto deve perciò essere la parola d’ordine e la condivisione di questi momenti assieme al genitore o alla figura di accudimento può essere una buona arma per sconfiggere la paura.

Ansia fisiologica

In questo processo resta comunque fondamentale lasciare spazio alle emozioni negative, facenti parte di quello che è un meccanismo di adattamento altamente funzionale. Lo stato di attivazione ansiosa fisiologica prepara il corpo e la mente al raggiungimento dell’obiettivo ed è molto importante far sì che esso venga gestito dal/la bambino/a con gli strumenti che possiede. È altrettanto importante fornire una base sicura su cui possa fare affidamento e che metta a sua disposizione gli strumenti necessari per imparare a gestire le sue capacità acquisite.

Rientro con covid-19

In questo anno così particolare è fondamentale il dialogo ed il chiarimento di quelle che saranno le nuove disposizioni e le “nuove regole” da rispettare nell’ambiente scolastico. È altrettanto importante sottolineare la temporaneità di questa condizione e non esasperare paure o preoccupazioni. L’istruzione alle nuove norme anticovid deve avvenire in accordo con quelle che sono le disposizioni del singolo istituto di appartenenza ma l’attenzione posta su di esse deve essere limitata al chiarimento dei dubbi e senza l’esasperazione della condizione. La scuola rappresenta un luogo di condivisione, gioco ed apprendimento assieme ai propri coetanei e l’aspetto relazionale ne è un elemento principale. Dopo molti mesi trascorsi all’interno del nucleo familiare è indispensabile e necessario per la salute psicofisica del/la bambino/a che vi sia un reinserimento non solo all’interno del contesto sociale ma che vengano anche riprese le attività scolastiche nell’ottica di una ripresa della stimolazione cognitiva.

Pinki mangia da solo

È quasi ora di mangiare e Pinki si trova davanti ad una tavola imbandita di buon cibo

Si avvicina al succo di frutta ma non ne ha voglia e quindi lo rovescia tutto sul tavolo. Nemmeno la zuppa sembra piacergli molto.

Queste foglie di insalata brillanti stanno meglio in aria che nella sua pancia. Ma ecco delle tenere maracas!

Un ritmo delizioso!

Mmmm…buoni!

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Carolina Pozzi per le illustrazioni (@pinkiilconi)

In questo nuovo episodio vediamo Pinki il coni alle prese con quella che è una pratica di recente uso e scoperta: il “Baby Led Weaning” (BLW).

In un’ottica più ampia, possiamo inserire questo approccio lungo un continuum che vede la sua evoluzione nel mondo dell’alimentazione intuitiva, in parte accennata nell’episodio di Pinki in stelline for lunch (clicca qui per approfondire).

Principi del BLW

Con BLW si fa riferimento a quella che, in italiano, si traduce nella pratica di svezzamento autogestito dal bambino, che segue alcuni principi precisi e chiari:

  • All’inizio del processo di svezzamento, al bambino è consentito il rifiuto del cibo, che potrà poi essere riproposto più avanti nel tempo
  • Al bambino è permesso decidere quanto vuole mangiare. Non vanno offerte razioni aggiuntive con il cucchiaio a fine pasto.
  • Il pasto non va consumato in fretta
  • Il pasto andrebbe offerto nei momenti in cui anche il resto della famiglia sta mangiando, per fornire un esempio e per consentire un apprendimento di tipo imitativo. 
  • Durante i pasti è permesso bere acqua.
  • Inizialmente vengono offerti solo frutta e verdura di consistenza morbida. I cibi più consistenti vengono lievemente cotti per renderli morbidi abbastanza da poter essere masticati anche solo con le gengive. 
  • I cibi di consistenza più liquida come lo yogurt vanno offerti con un cucchiaio così che il bambino possa imparare la manipolazione e l’autogestione.

Modelli operativi interni

L’opportunità che questo approccio offre è quella di lasciare il bambino libero di potenziare le sue capacità nutrizionali innate ed istintive. Come spiegato nell’articolo che tratta il tema dell’intelligenza emotiva (clicca qui), nell’infanzia, l’immaturità che ci caratterizza in termini di sviluppo neocorticale, ci permette di orientare le nostre scelte ed azioni in base all’istinto, rendendoci liberi dal controllo razionale e dagli schemi mentali che utilizzeremo poi in età adulta.

Il bambino, dirigendo l’attenzione ed i movimenti in maniera autonoma verso ciò che desidera, apprenderà ad agire nel rispetto delle sue spinte e dei suoi modelli interni anzichè lasciandosi guidare da schemi esterni che derivano da imposizioni e modelli altrui. 

Nelle vignette sopra illustrate possiamo vedere Pinki coinvolto proprio nel processo di valutazione di ciò che ha davanti a sè. La possibilità di avere a disposizione più elementi tra cui scegliere rappresenta essa stessa una parte integrante e fondamentale dell’intero procedimento, che mette in moto meccanismi cognitivi ed emozionali che daranno poi luogo all’esperienza alimentare nella sua globalità.

Sviluppo prassico

Oltre agli aspetti motivazionali ed istintivi, l’approccio BLW permette al bambino di sviluppare autonomamente ed anticipatamente le sue abilità prassiche, dagli aspetti di pianificazione dell’azione a quelli di manipolazione. Il rapporto diretto con il cibo gli permetterà, inoltre, di sviluppare un profondo senso del tatto ed una maggior consapevolezza gustativa.

Gusto

Il gusto, per i bambini come per gli adulti, rappresenta una componente fondamentale e determinante nella relazione con il cibo. Lasciandogli/le la possibilità di autodirezionare le sue scelte, sarà per lui/lei più semplice apprendere a selezionare ciò che rientra nella gamma di sapori di suo gradimento e non vi sarà quindi la necessità di doverlo/a orientare verso l’assunzione di (per esempio) verdure o altri cibi “critici”. Nei casi in cui si mostra una reticenza verso alcuni alimenti si lascia al bambino/a la libertà di rifiuto nell’ottica di una riproposta futura.

Alimentazione consapevole

La consapevolezza che il/la bambino/a riesce ad acquisire fin dall’infanzia grazie a questo approccio all’alimentazione gli permetterà di sviluppare, in età adulta, un rapporto molto più intimo ed intuitivo nei confronti del cibo e delle proprie spinte interne. Inoltre, l’autonomia richiesta per affrontare questa pratica lascia aperta la possibilità di integrazione sociale familiare dell’infante fin dalla tenera età, senza obbligare la figura di accudimento a doversi allontanare o dedicarsi esclusivamente a dover imboccare. La partecipazione al pasto rappresenta essa stessa un’importante momento di condivisione familiare e grazie al BLW è possibile un’integrazione globale del nucleo nel suo insieme.

Dott.ssa Eleonora Rossi

Pinki è libero di mangiare come vuole

È quasi ora di pranzo e Pinki adocchia una ciotola di cibo profumato. C’è qualcosa di invitante in questo piatto e Pinki lo vuole mangiare

Ci si tuffa proprio, lasciandosi trasportare dal gusto morbido e vorticoso. Ha finito…. ma forse non ancora.

Piano piano si stacca le stelline dal musetto: “Sono proprio carine…” – pensa

“…e anche deliziose!”

Credits to:

Carolina Pozzi per le illustrazioni (@pinkiilconi)

Sara Pedretti per la narrazione (@sara.narwain.teacher)

Nella sua prima comparsa per la rubrica “Pinki si nutre”, Pinki il coni ha a che fare con il mondo dell’alimentazione.

Più nel dettaglio, nelle vignette sopra illustrate, lo vediamo coinvolto in quello che, nei bambini, è un processo del tutto naturale e scevro da pregiudizi: il mangiare.

Alimentazione nell’adulto

Il tema dell’alimentazione rappresenta, per molti adulti, un argomento spinoso e ostile. La schiavitù dagli schemi nutrizionali, dagli alimenti considerati nemici e le sovrastrutture che fanno da giudici morali al processo alimentare, rendono spesso il pasto un momento conflittuale.

Questa impalcatura fatta di idee e pregiudizi guida il nostro comportamento ed il modo in cui ci poniamo nei confronti di tutta la gamma di gestualità che compone l’intero atto del mangiare, dalla scelta del cibo al supermercato fino alla masticazione.

Ci lasciamo spesso guidare da ciò che il nostro cervello incasella nella nostra idea di “adeguato” senza realmente ascoltare cosa sentiamo e desideriamo profondamente. Nel momento in cui ci sediamo a tavola facciamo spesso una distinzione tra i pasti che possiamo goderci (es: oggi è sabato e mi posso concedere e godere una bella pizza) ed i pasti in cui riteniamo più giusto dedicarci quasi esclusivamente al bagaglio energetico che ci servirà per affrontare la giornata (es: mi mangio un’insalata perché tanto passerò la giornata seduto/a alla scrivania). La risultante è una fatica nel coniugare questi due aspetti all’interno dello stesso pasto, sperimentando così quell’insoddisfazione che spesso ci spinge verso quel desiderio di qualcosa di sfizioso (dopo l’insalata) o qualcosa di sano (dopo la pizza) che vada a sancire la fine del nostro lauto pasto.

Alimentazione nell’infanzia

Durante l’infanzia questo processo non viene guidato dalla stessa tipologia di schemi. Quando nasciamo non veniamo al mondo con le sovrastrutture sopracitate ma anzi il nostro comportamento verso il cibo viene guidato unicamente ed esclusivamente dalla spinta alla sopravvivenza. Solo con lo svezzamento impareremo poi ad inserire all’interno dell’esperienza alimentare la parola “gusto”.

Saranno poi gli adulti a trasmettere, tramite il linguaggio verbale e non, lo slancio e/o la reticenza di un/a bambino/a verso un cibo o un altro. A questo si aggiungerà la componente personologica individuale che guiderà la sua apertura o chiusura verso la sperimentazione di cibi nuovi e sconosciuti.

Libertà di scelta

La grande ricchezza che possediamo durante l’infanzia risiede proprio nell’assenza di una forte componente neocorticale che eserciti il suo controllo sulle spinte pulsionali e sui desideri (tema affrontato nell’articolo sull’intelligenza emotiva, clicca qui per approfondire), lasciandoci così liberi di orientare il nostro comportamento verso ciò che desideriamo profondamente.

Quante volte abbiamo pensato “vorrei tornare a mangiare con la stessa leggerezza con cui lo facevo da bambino/a”, tessendo però un filo diretto tra questa leggerezza di pensiero ed il fatto che non dovessimo preoccuparci dell’apporto calorico (credenza errata: “i bambini hanno bisogno di più energie degli adulti”).

Quella leggerezza a cui facciamo riferimento non derivava dal fatto che non ci dovessimo preoccupare dell’aspetto nutrizionale del cibo ma dal fatto che non eravamo ancora schiavi di quegli schemi mentali che oggi ci controllano e che guidano quasi sempre le nostre scelte alimentari.

Pinki, nel tuffarsi nel piatto “lasciandosi trasportare dal gusto morbido e vorticoso” ci permette di calarci in quella sensazione che si prova quando si è bambini, in cui la relazione con il cibo è del tutto neutrale e direzionata verso i bisogni primari di nutrizione e di appagamento.

Insegnare l’ascolto

Questa straordinaria abilità che possediamo alla nascita di orientare le nostre azioni e le nostre scelte verso ciò di cui abbiamo bisogno e verso ciò che desideriamo possono essere mantenute e sostenute grazie ad un atteggiamento rispettoso delle spinte che il/la bambino/a mostra nel momento in cui mangia. La capacità intrinseca dell’essere umano di orientare sia la componente attentiva che quella psicomotoria verso il raggiungimento dell’oggetto desiderato sono fortemente espresse nei primi anni di vita e facilmente osservabili se si lascia al/la bambino/a libertà di movimento e di comunicazione.

Il rapporto diretto con il cibo, sia in termini di scelta che in termini di manipolazione, permette lo sviluppo di una connessione diretta tra la componente cognitiva e quella del sistema limbico (emozioni), andando a fortificare la consapevolezza che il/la bambino/a ha di sé stesso/a e di ciò che sente.

Super potere

Il potenziamento delle abilità di auto-ascolto in età infantile andrà a stabilizzare e fortificare la capacità del futuro adulto di saper interpretare e codificare ciò che il proprio corpo sta tentando di comunicare. Grazie a questo “super-potere” non vi sarà la necessità di impostare/calibrare la propria alimentazione servendosi di diete o di “imparare a mangiare” nel rispetto e nell’ottica della cosiddetta “alimentazione sana”. Il corpo, in quanto organismo dotato di capacità omeostatica, è perfettamente in grado di auto-gestirsi, auto-orientarsi e di saper scegliere di cosa ha bisogno senza andare necessariamente incontro a fenomeni di eccesso.  

Pinki impara la differenza sé-altro

Era una fresca mattina d’inizio estate, il mare era calmo ma l’aria frizzava di scoperta. Sulla chiara sabbia giaceva un uovo.

Pinki, passando di lì, lo vide e si avvicinò per guardare meglio…

Provò a conoscere quel “coso” con un morbido tocco ma… TOC, SCRICK, STACK…Puuf!

<<Hola>> disse, uscendo dal guscio, il pulcino. Pinki osservò il suo primo passo, molto più simile ad un inciampo, e nel giro di qualche istante se lo ritrovò abbracciato alla zampa pensando “Chi è questo qui? Da dove arriva?”

In un breve istante quelle domande si rivelarono superflue… <<Hola Pinki>> – <<Ciao Lopez>>

Credits to:

Carolina Pozzi per le illustrazioni (@pinkiilconi)

Sara Pedretti per la narrazione (@sara.narwain.teacher)

Per la sua prima apparizione nella rubrica dedicata all’apprendimento, Pinki il coni si interfaccia con il mondo dell’unknown, per l’appunto – dello sconosciuto.

Nello specifico, nell’illustrazione sopra riportata, Pinki si vede coinvolto nel processo di sviluppo sociale, fase dello sviluppo che ognuno di noi attraversa a partire dal secondo anno di vita circa (sebbene le relazioni sociali si instaurino nel preciso momento in cui veniamo al mondo).

Autoconsapevolezza e conoscenza sociale

Per acquisire la competenza sociale, è necessario che il/la bambino/a sviluppi quella che viene definita Teoria della Mente, ovvero la capacità di riconoscere e comprendere che le persone che lo/a circondano sono dotate, come lui/lei, di stati interni, intenzioni, pensieri ed emozioni che orientano il comportamento e le relazioni con gli altri.

Nel momento in cui avviene la cosiddetta “oggettivazione del Sé” (ovvero il processo di differenziazione e rappresentazione del Sé come entità oggettiva), il/la bambino/a acquisisce autoconsapevolezza e conoscenza sociale.

Per quanto l’uso del linguaggio verbale fornisca quasi sempre una chiave di interpretazione abbastanza attendibile, nei/nelle bambini/e il processo di oggettivazione del Sé può essere riconoscibile anche in una fase preverbale (ovvero prima della capacità di distinguere tra me/te – noi/voi). Questa capacità può essere verificata con l’acquisizione del riconoscimento della propria immagine allo specchio, processo che richiede competenze mentali simboliche e complesse.

L’autoconsapevolezza comincia ad apparire intorno ai 15 mesi e risulta poi ben riconoscibile in quasi tutti i/le bambini/e tra i 21 ed i 24 mesi.

Consapevolezza degli altri come diversi da sè

Una volta acquisita la consapevolezza di sé, ne deriva una conseguente distinzione tra sé e gli altri. Le reazioni a persone estranee vengono determinate e guidate dagli schemi relativi al sé, che vengono quindi applicati a ciò che è esterno a noi. La reazione ad un/a bambino/a estraneo può risultare più frequentemente positiva proprio per il fatto che vi è una percezione di maggiore somiglianza a sé, a fronte di una diversità più marcata con un adulto.

Nella storia di Pinki, la sua iniziale diffidenza nei confronti del pinguino Lopez potrebbe essere dovuta proprio alle differenze che vede in lui. Lopez è infatti appartenente ad un’altra specie, ha una diversa statura, è ricoperto di piume e non di peli, ha un becco e non un muso con i baffi.

Le elaborazioni che il/la bambino/o fa sul Sé e sugli altri non rientrano in una prospettiva statica ma sono continuamente soggette a ristrutturazioni e rielaborazioni (tema affrontato in un’ottica più neurostrutturale nell’articolo sulla neuroplasticità, clicca qui per approfondire) guidate da quelle che sono le esperienze di vita sociali e che forniscono man mano una comprensione più chiara della realtà.

Relazioni affettive

Per quel che riguarda le dinamiche affettive, nella storia vediamo Pinki alle prese con l’accettazione di Lopez, un pinguino sconosciuto che entra improvvisamente a far parte della sua vita.

Secondo la teoria dell’attaccamento (teoria più accreditata nell’ambito dello sviluppo affettivo), la percezione del mondo durante l’infanzia viene filtrata attraverso quelli che vengono definiti “modelli operativi interni e della figura di attaccamento”. In altre parole, quelle che sono le nostre rappresentazioni interne di noi stessi e della nostra figura di attaccamento (figura con cui si crea un legame specifico in relazione all’accudimento) guidano i comportamenti, le azioni e le rappresentazioni che abbiamo di coloro con cui entriamo in relazione.

Pinki, nell’abbraccio con Lopez, mostra accettazione e accoglienza, manifestando così una rielaborazione della sua rappresentazione dello “sconosciuto”.

Il mondo delle Neuroscienze e della Psicologia

Si tratta di due mondi che, il più delle volte, si intersecano, dando vita ad un marasma di informazioni difficili da decifrare. Il problema principale risiede nel fatto che vi è un confine molto labile tra le due materie e che quindi definire fino a che punto regna una piuttosto che l’altra non risulta più possibile.

Insieme vogliamo aiutare il lettore, accompagnandolo verso una maggiore comprensione di esse fornendo una spiegazione più chiara e lineare possibile di quali siano gli ambiti toccati da una e dall’altra nello specifico contesto dell’età evolutiva.

La domanda che potrebbe sorgere spontanea è: “Cosa me ne faccio io di questa informazione?” “Come posso utilizzarla una volta acquisita?” “Perchè dovrebbe interessarmi sapere quali sono le differenze tra queste due materie?”

Le risposte potrebbero essere più semplici di quanto si pensi:

  • Per aiutarmi a capire cosa posso fare quando sento di aver bisogno di aiuto con mi* figli*
  • Per comprendere meglio a cosa posso attribuire e come posso risolvere lo stato di malessere che mi* figli*/io stess* provo se sento che non posso agire su di esso
  • Per dare una spiegazione a quelle volte in cui mi sembra che alcuni comportamenti di mi* figli* siano “strani”?
  • Per capire meglio perché a volte provo sensazioni contrastanti/emozioni così forti da non riuscire a spiegarmele o controllarle
  • Per avere una spiegazione di come si ripercuote ciò che penso/faccio sul mio “corpo” (meglio definibile come “soma”)
  • Per capire meglio come funzionano mente e cervello in un* bambin*

La Psicologia si è sempre proposta, con i vari approcci che offre, di aiutare i genitori ma soprattutto le persone in quanto invididui singoli, a rispondere a queste domande per trovare una soluzione a ciò che percepiamo come “disfunzionale” (in poche parole, scomodo). Spesso però capita di sentire il bisogno di dare una spiegazione più concreta ai fatti e di attribuire questa spiegazione a qualcosa di “reale”. Proprio in queso senso avviene l’incontro tra la psicologia e le neuroscienze.

Ma facciamo un momento chiarezza su alcuni dettagli storici che ci permettono di capire cosa è successo e come mai si sente parlare così tanto di Neuroscienze negli ultimi anni.

I primi studi sul cervello e sul comportamento risalgono ormai a un secolo fa, con i primi esperimenti condotti da biologi e medici che tentavano di scoprire cosa avvenisse nella nostra testa quando pensiamo, ragioniamo, compiamo un’azione. Con il tempo anche gli psicologi dell’epoca, che nel frattempo si trovavano in uno stadio più avanzato dello studio della disciplina psicologica, cominciavano ad affiancare ai loro esperimenti comportamentali anche dati legati al cervello, dimostrando come mai un individuo potesse prendere una decisione piuttosto che un’altra o dimostrando alcune funzioni che il cervello svolge. Poi, con la fine del XX secolo e l’avvento del XXI, e con essi lo sviluppo di nuove e precise tecnologie, la ricerca e gli studi nell’ambito delle neuroscienze si sono moltiplicati andando incontro a quella che oggi viene definita “corrente riduzionista”.

In questa fase sono stati fatti centinaia e migliaia di studi che permettevano di dare uno sguardo più approfondito alle funzioni neuro- fisiologiche/chimiche/psicologiche etc.. e di ricollegarle al comportamento umano nelle sue varie sfaccettature. Chiaramente però, come tutti gli estremismi, anch’esso ha dei limiti a cui non riesce a far fronte e sui quali ancora oggi continua a interrogarsi.

Noi, con il nostro “approccio”, non abbiamo intenzione di ricondurre tutto ciò che siamo ad un pezzo di carne contenuto in una scatola cranica. Sappiamo che l’essere umano è molto più di questo e che il potenziale inespresso che possiede va ben oltre ogni possibile studio riconducibile a variabili biologiche. Attribuiamo valore alla “mente” ed al fatto che ognuno di noi sia unico nel suo genere. Riteniamo importante considerare anche l’aspetto più concreto e biologico per aiutare la persona a raggiungere una maggiore autoconsapevolezza di essere vivente e agente su questo pianeta.

Per concludere questa breve introduzione, è importante sapere che in questa pagina potrai trovare le risposte a tutte queste domande e, se ne hai voglia, proporre tu stess* domande a cui ti piacerebbe trovare una risposta chiara e affidabile.

Grazie per la lettura!